fatti un giro sul Millenium Falcon: prova della @TrekBikes #Madone 9.9 factory replica

L’occasione è di quelle ghiotte: scopro la sera prima di poter andare a fare un salto da Red Bike e aver la possibilità di provare la gamma 2016 della Trek. Ma di fatto ancora non so che sul mio cammino incrocerò quella che credo ad oggi sia una delle bici più evolute in assoluto in merito alla ricerca della prestazione pura.

Arrivo un po’ trafelato, il solito traffico giavenese del sabato, e subito mi presento per l’ultima sessione della giornata dedicata alla prova delle bici da strada. Ho casco, pedali e scarpette; mi registro e vengo guidato dal buon Marco verso il “paddock” per la scelta della bici. Ci sono le Emonda, in diversi montaggi, bici ottima per la salita e le distanze, molto leggera e performante e poi… e poi vedo quella che più che una bici pare una astronave, la Madone in configurazione top assoluta, con la livrea della squadra corse Trek. Con un mezzo sorriso Marco mi fa: “beh, questa è una di quelle che si provano una sola volta nella vita…”. Non deve aggiungere altro,  in un attimo gli consegno i pedali e gli comunico le mie misure per la regolazione della sella.

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Porto la bici vicino all’auto dove poserò la giacca pesante e la osservo quasi con timore reverenziale. La bici è pazzesca. Non c’è alcuna traccia di cavi a vista, tutto è ottimizzato per la migliore aerodinamica possibile, la zona del movimento centrale (il punto su cui si scaricano le maggiori forze durante una volata) appare granitico a cominciare dai suoi 90mm di larghezza contro i canonici 68-70 a cui il mio occhio è abituato. I freni sono completamente carenati ed integrati nella forcella e nel telaio, soluzione degna delle migliori bici da TT sul mercato.

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Il manubrio poi meriterebbe un articolo tutto per lui: è sostanzialmente un ala di carbonio in un unico stampo. La classica posizione delle mani in presa alta non è proprio nemmeno praticabile: qui si mena duro e basta! Ruote assolutamente di livello, menzione per il canale largo del cerchio che è in grado di ospitare molto bene i tubolari da 25mm. Inizio anche il mio primo approccio in assoluto con un cambio elettroattuato come il Dura-Ace di2, vero fiore all’occhiello di casa Shimano, e benchè non sia un grande fan dei nipponici non posso che ammirare la pulizia del design e l’altissima ingegnerizzazione raggiunta da un componente chiave come la trasmissione.

Via, si parte per la pedalata! Complice un leggero falsopiano in discesa e delle buone sensazioni di gamba e leggo subito 45km/h sul mio Garmin… bene, ma la bici sembra non essere nemmeno impensierita dalla cosa, la sensazione è quella di essere molto al di sotto della velocità indicata ed ho subito voglia di spingere ancora ed ancora sui pedali. Provo un rilancio, la sensazione di rigidezza è una cosa mai provata prima: io sono in tutto e per tutto l’unico anello debole in questo sistema in movimento di bici più ciclista. Arrivo ad una rotonda e non serve nemmeno rallentare, la presa bassa al manubrio-ala dà un grande controllo alla bici e in un attimo sono fuori dal rondò. Scalare i pignoni è direi entusiasmante, un tocco alla leva ed un fruscìo annuncia l’innesto del nuovo rapporto. Ad essere sincero riscontro qualche piccola incertezza nella salita verso i pignoni più grandi, ma mi resta il dubbio che sia io poco preciso nell’azionare la leva più grande.

Finisce il rettilineo che ho interamente percorso al di sopra dei 40 orari  (20 secondi in meno del mio tempo migliore) ed inizio un tratto con un paio di salitelle secche dove posso provare dei rilanci anche a bassa velocità. Sarà l’entusiasmo e la fregola per il poco tempo disponibile, ma la corona da 39 denti mi sembra di percepirla come una compatta tanto è la spinta che riesco a generare anche in salita. Il movimento del deragliatore è un po’ rumoroso e tutto subito mi preoccupo per un suo malfunzionamento, ma niente paura è solo il motorino che fa compiere tutta l’escursione necessaria alle lamelle del cambio, senza incertezze e con la massima precisione. Ovviamente anche gli incroci non sono un problema dato che il sistema riconosce lo sfregamento della catena sulla lamina ed effettua in automatico dei micromovimenti di aggiustamento: il futuro è qui!

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Per non farmi mancare nulla la voglio anche portare sul pavè, anche se non è paragonabile al leggendario nord europa, per capire se diventa un cavallo imbizzarrito o se rimane gestibile. Con mia sorpresa, entrano in gioco i tubolari generosi e probabilmente non gonfi ad alte pressioni (credo intorno agli 8bar) che assorbono molto bene i sobbalzi sulle pietre. Certo il tratto è qualche centinaio di metri, ma sufficiente a rendere bene l’idea anche se non è certo una bici con cui i professionisti si lanciano alla caccia della volata nel velodromo di roubaix.

Segue l’ultimo tratto collinare, o mangia & bevi come piace dire ai ciclisti, dove viene fuori tutta la perfezione di questa macchina da competizione estrema. Anche il suono dello scorrimento delle ruote e della catena possiede un che di unico ed ammaliante, mi trovo a forzare ancora per non far abbassare le frequenze che il mio udito avverte, tanto sono affascinanti.

Nel mentre faccio questi ragionamenti e accumulo sensazioni ed emozioni vedo all’orizzonte il camion della Trek pronto per inghiottire anche la bici che mi sto godendo… arrivo, faccio ancora due chiacchiere cercando di mettere insieme due commenti che non siano troppo banali ma di fatto mi escono solo vocaboli scontati come: disumana, incredibile, pazzesca.

Il mio giro con il diavolo rosso

A distanza di qualche giorno e raccogliendo un po’ di considerazioni a freddo questa bici ritengo sia il termine di paragone odierno della tecnica ciclistica spinta al suo limite. Tutto è votato alla pura prestazione, senza compromessi, solo rispettando le regole dell’UCI ed aggiungendoci migliaia di ore di lavoro, ottimizzazione e progettazione. Una vera pietra miliare (un benchmark come direbbe chi ama la terminologia digitale) di quello che potrebbe essere il ciclismo competitivo di domani. Ritornando in questi giorni alla mia amatissima bici da corsa in acciaio mi viene da fare un parallelo automobilistico: pedalo da quasi due anni su quella che potrebbe essere una splendida Porshe 911 dei primi anni 2000, elegante, veloce, scattante ed esclusiva. Ma per una volta ho avuto il privilegio di guidare una Lamborghini Aventador in configurazione trofeo…

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