il mio primo anno nel paraciclismo

questo articolo è di un anno fa esatto, ha subito molte modifiche e traversie, ma oggi, nella settimana dei nostri secondi campionati nazionali su pista, era doveroso condividerlo almeno qui.

Molte volte sono proprio le cose che accadono inaspettatamente, non pianificate, ad imprimersi maggiormente nella nostra memora. E così, nel pieno di un’estate costellata di nuovi itinerari con la fiammante bici gravel tanto sospirata, arriva la chiamata che spariglia le carte in tavola: “ti andrebbe di far la guida di un equipaggio tandem con un ragazzo non vedente che vorrebbe prepararsi per  i campionati italiani di paraciclismo su pista?”.  Ora, io di mio sono sempre stato una persona curiosa, ma qui la curiosità era doppia. Arrivare a 45 anni senza mai esser salito su di un tandem era un’esperienza non più rimandabile, ma qui mi si offriva la doppia opportunità per entrare anche in punta di piedi nel mondo del ciclismo paralimpico. Non ci penso un secondo, ed accetto. Non so bene cosa aspettarmi ma tra me penso che non sarà poi tanto diverso dall’andare in bici singola, tanto più che la pista è per me decisamente una comfort zone, e che di sicuro annulla tutta una serie di variabili poco controllabili tra cui il traffico e, fatto non secondario, anche le salite, dato che il peso messo su in questa pandemia mi fa arrossire ogni volta che vedo un mio tempo sulle salite fatte qualche anno fa.

Complice una pioggia impertinente, il giorno dell’esordio è solo statico, nessuna pedalata. Apprezzo però fin da subito l’entusiasmo di Michele, mio nuovo compagno di pedalate. Maneggiare e soppesare un tandem è già di per sé una scoperta. Lungo, molto più lungo di quanto ricordassi da quanto visto in passato, pesantuccio e da manovrare con cognizione di causa. Questo in particolare ci è stato dato in comodato d’uso dalla fondazione “Obiettivo3” di Alex Zanardi e basta questo per inorgoglirci e motivarci a far bene. E’ però un tandem da strada che quindi, per le gare su pista che affronteremo (kilometro da fermo ed inseguimento individuale), andrà adattato bloccando il rapporto come se fosse idealmente una trasmissione a scatto fisso. La prima prova è solo rimandata di una settimana e, scontato l’apprendistato necessario per impadronirsi delle fasi del “partire e fermarsi” (proprio come nell’aviazione queste sono le fasi più delicate dove finir per terra è fin troppo facile), iniziamo a far ritmo e a sentire il vento che via via sibila sempre più forte nelle nostre orecchie. Michele è un compagno attentissimo a questa fase di allenamenti, coglie ogni minima variazione di ritmo e traiettoria sulle paraboliche, “sente” la potenza erogata da entrambe e detta ritmo e cadenza dei vari esercizi di avvicinamento alle due discipline. Sessione dopo sessione affiniamo sia il mezzo meccanico (gomme, pedali e catena nuovi, ma soprattutto installiamo le prolunghe da cronometro che sono essenziali nell’inseguimento) sia l’intesa di pedalata, che con delle semplici parole risulterebbe ben difficile da spiegare. Le due pedivelle sono solidali e sincronizzate tra loro, il motore è di fatto un quadricilindrico a propulsione umana, e proprio come gli altri motori, quelli che fanno fumo, anche questo non può e non deve avere un cilindro o due che scoppiettano rispetto agli altri. Tutto deve essere una piccola sinfonia eseguita sotto le orecchie vigili di un direttore d’orchestra, uno di quelli che scova all’istante che il terzo violinista partendo da sinistra è fuori di un quarto di tono. Non solo, la guida di questa trave da ponte con le ruote alle estremità non è così semplice come si possa immaginare, ma segue la legge di quando si va sulla sabbia: “più vai forte più veleggi preciso”, ed anche qui, in piena velocità, si ha la sensazione di essere il capitano di una nave lanciata a tutto vapore… correzioni minime e barra dritta!

Gli allenamenti si susseguono velocemente, ma è all’ultima sessione, quella di rifinitura, che il livello di pressione emozionale sale alle stelle. Mentre ci avviciniamo alla pista racconto a Michele ciò che ci circonda, quanti stanno girando, e che a bordo pista hanno già anche montato il podio. Lui per tutta risposta, immediato, come una demi-volè, butta fuori la sentenza: “noi ci dobbiamo salire su quel podio!”. Io vengo spiazzato proprio come un tennista sprovveduto, ma al tempo stesso caricato a molla per far del mio meglio. Il tempo non è stato molto, ma gli allenamenti sono stati quelli giusti e l’intesa c’è ed è di quelle belle, rivolta verso l’obiettivo comune di far bene.

(foto di Piergiorgio Mariconti)

Race day: nessuna scusa. Arrivati di buon mattino e sbrigate le pratiche amministrative, siamo subito attenti al briefing pre gara, dove il tecnico UCI (sì sì non federazione, proprio UCI) spiega nel dettaglio gli svolgimenti delle gare e specifica quanto rigorosa sarà anche la cerimonia protocollare di premiazione. Non siamo alla granfondo di Voghera, non ci si può nascondere in gruppo, nessuna strategia, stare al vento per quattromila metri è qualcosa che è in grado di dilatare il tempo e far diventare quei dieci giri di pista un viaggio ai limiti di quanto ciascuno dei propri fisici possa esprimere, senza mai perdere il timone della guida per far restare la nostra massa pedalante nella migliore traiettoria possibile, fino all’ultimo centimetro. Sostenuti dal commissario iniziamo a posizionarci, in quella danza gestuale che precede la partenza, il frastuono sulle tribune si allontana come se le stessero trainando via, il chiacchiericcio ed il ronzio dei rulli degli altri atleti si fa sempre più basso fin quasi a scomparire, i polmoni si gonfiano ed arriva lo sparo dello starter. Tutta la pressione mentale svanisce come cancellata da un colpo di spugna. Siamo soli. Con un infinito rettilineo ripiegato da percorrere al meglio delle nostre possibilità. La partenza era un po’ il nostro punto debole, ma la forza iniziale di Michele la sento trasmessa a tutto il tandem, prendiamo velocità nel migliore dei modi e poi giù, sulle prolunghe crono per vincere quella maledetta resistenza all’aria che è il nemico numero uno di ogni ciclista veloce. Quando arriviamo a metà prova, ai fatidici “meno 5”, mi sembra di aver già dato quasi tutto, ma so anche che è proprio da qui in poi che si fa la gara. Non calare, non dobbiamo calare di velocità, e l’unico modo per uscirne e tenere costante la cadenza acquisita, senza sconti. Ogni minuto le gambe devono girare almeno novanta volte, mai meno. Con questo stratagemma mentale i giri sfilano via uno dopo l’altro, provo a usare qualche altro trucchetto da vecchio pistard come, ad esempio, percorrere la curva scendendo tra la linea rossa dei velocisti e la nera demarcante la corda, in modo da farla sembrare una specie di mini discesa per qualche decina di metri, il contentino che ne traiamo è più mentale che pratico, ma tant’è. Il vero e proprio boost arriva alla campana dell’ultimo giro, questo sì fatto tutto in apnea fino all’ultimo metro e quel “din” del tocco finale di campana è una vera e propria liberazione. Quasi storditi dallo sforzo rientriamo ai box e ci attacchiamo alle reti aspettando gli altri tempi, dato che, in quanto atleti di casa, eravamo partiti per primi. Salire sul podio è questione di secondi, pochi maledetti secondi, ma alla fine sì, siamo a podio! Brividi lungo la schiena, abbracci sentiti fino in fondo ed un esser fieri di noi stessi che mai avevo provato in questa forma. Non siamo una squadra, siamo un equipaggio: come pilota e navigatore delle auto da rally, in questo caso siamo anche i motori di noi stessi, e una miscela di emozioni unica che culmina con l’inno nazionale suonato con noi sul podio, a fianco di avversari che so già diventeranno anche loro amici, perché ad oggi il mondo paralimpico è ancora piccolo ma ha una potenzialità che non credevo nemmeno possibile

io e Michele in gara nell’inseguimento su pista (foto di Piergiorgio Mariconti)

3 commenti

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3 risposte a “il mio primo anno nel paraciclismo

  1. Fr@30

    CHE FIGATA! 👏👏👏 Grande Riky

  2. Luca Morandi

    Ciao Riccardo,
    ancora non ci conosciamo, ma credo che un giorno o l’altro ci incontreremo. Io sono Luca, compagno, guida in molteplici ambiti e grande amico di Michele. Da oltre 10 anni io e Michele abbiamo condiviso km di asfalto, viaggi, tavolate, litri di vino e gogliardie varie. Abbiamo, insieme, sofferto in salita, e urlato in discesa, su versanti adrenalinici su asfalto, sterrato, single track e ogni sorta di percorso. Abbiamo cominciato a frequentarci con le uscite in tandem e siamo finiti col diventare grandissimi amici. Abbiamo pianto e riso in un intreccio di sentimenti puri. All’inizio, era il 2012, ho pensato ingenuamente di dare supporto ad una persona che aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno. La mia iniziale supponenza si è sciolta come neve al sole, in quanto sono ad oggi convinto di aver ricevuto da Michele molto di più di quanto non sia stato in grado di dargli. Michele è una persona genuina e pura, a volte ruvida, ma sempre sincera e discreta all’occorrenza. È anche molto brillante e un compagno di viaggio eccezionale. In sella sa dare la carica al momento giusto ed è dotato di grande sensibilità nelle curve in discesa ad alta velocità, dove do il meglio di me. La lunghezza del tandem, 2,5m, sicuramente non trascurabile, è compensata dalla leggerezza dei movimenti di Michele, che a dispetto delle dimensioni del mezzo, Michele riesce a rendersi e renderlo neutrale ai miei cambi di direzione, dettati dalle asperità del terreno e dalle caratteristiche peculiari del tracciato del momento.
    Sono felice che anche per te l’esperienza condivisa in pista con il mio amico, si stia trasformando in qualcosa che va oltre una semplice esperienza sportiva, a conferma di quanto ho espresso nelle righe precedenti.
    Buona fortuna.
    Ciao, Luca.

    • ciao Luca! piacere di leggerti, per ora, nell’attesa di conoscerci e grazie per le parole che descrivono alla perfezione quanto questo sport e queste situazioni riescano a darci in termini umani. a presto!

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