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E’ tornato il ciclocross #cx #lifedeathcyclocross

per una volta un pezzo non mio ma talmente affine sia a come interpreto questa disciplina sia alle emozioni che mi sa dare che non posso non apporla sul mio spazio web, anche a futura memoria di chi passerà di qui per caso a leggere. Il pezzo è di Marco Pastonesi della Gazzetta dello sport.

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E’ ciclismo a piedi, è podismo in bicicletta. Con il rugby condivide la sfida nel fango, con la pallanuoto la sopravvivenza nell’acqua. Delle campestri ha sposato i teatri, dello sci di fondo i palcoscenici. E’ – a suo modo – biathlon, duathlon, triathlon e perfino pentathlon, ma in un colpo solo, in una botta unica, in una prova secca, secca sempre ammesso che non piova. Ha qualcosa di primitivo, se non di primordiale, ha molto di faticoso, a volte si ha la sensazione che sia una disciplina così antica da apparire futuribile, una specialità così tradizionale da proiettarsi all’avanguardia.

E’ tornato il ciclocross. Quello che non conosce l’impraticabilità dei campi, ma di cui anzi si nutre, quello che possiede una sua geografia di parchi comunali e di scalinate ecclesiastiche, una sua storia di ferrovieri a pedali e di maestri a due ruote, una sua religione silenziosa e una sua filosofia assiderata, quello che sembra fatto in proprio, in casa, in famiglia, in parrocchia, in comunità, quello che dovunque è una festa sui prati, ma che in Belgio è sempre una festa nazionale, quello che è pane e salame e vin brulè, data la temperatura, immune all’effetto serra e al rischio abbronzatura.

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E’ tornato il ciclocross dove perfino un guerriero come Nibali e un colosso come Cancellara potrebbero passare per atleti da sala e salotto, perché qui i corridori pedalano a falcate, sgambando e spalleggiando, saltando e scorrendo, scalando e scendendo, infine sprintando. Schizzano, sprizzano, svirgolano e a volte scivolano, schiattano, sorvolano, s’inseguono, si spremono, si sfiniscono. Un’ora al massimo, una crono in linea e a circuito in cui si parte tutti insieme, appassionatamente e pericolosamente, con l’obiettivo di trovare quel giusto equilibrio fra leggerezza e forza, fra acrobazia e sicurezza, e poi tradurlo in una danza, che per tutti è rumba e per chi vince è – a dispetto dei luoghi e del meteo – mambo.

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I vecchi sostengono che quella del ciclocross sia la scuola dell’obbligo, perché qui s’impara a tenere duro, stringere i denti, non mollare mai, e sospirando aggiungono che ci sono troppi ragazzi che invece entrano all’università senza aver fatto neanche le elementari. Finché un giorno il ciclocross tornerà in voga e di moda, come lo scatto fisso, come le bici d’epoca, come le maglie di lana. Voglia di fango e pioggia, di rumba e mambo, di semplicità e allegria. Voglia di una festa sui prati.

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Vi racconto delle mie bici – puntata 1 di 7: la Zino #cx #001 per le gare nel fango e non solo…

Un po’ per fare ordine, ora che il numero ed il tipo di bici si è stabilizzato all’interno del mio garage ed un po’ per condividere e far sapere, come e soprattutto in questo caso, quanto lavoro e dedizione ci sia dietro un semplice telaio, inizio oggi la mini serie di articoletti riguardanti le bici che mi tengono compagnia e che vengono tutte (ci tengo) regolarmente pedalate.

004 (2)Così dopo quasi un anno di corteggiamento alla disciplina capitano di quelle occasioni che non si possono lasciar scappare. Il mio amico Zino dei 10Cento si è messo a far telai, ovviamente ha iniziato con i pista/scattofisso ma ha l’impressione di starci stretto in questa definizione, giustamente. Così in un inizio inverno del 2012 se ne esce con una frase del tipo: “riky, se mi trovi una buona forcella da cross il telaio mi ci metto e lo facciamo, così vediamo come va!”. Detto fatto, neanche a farlo apposta il mio amico Giovanni Fausto vince qualche settimana prima una forca Columbus da cx in una gara in Romagna, il prezzo è ottimo, il progetto prende vita.

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Fortuna vuole anche che, dopo un cambio del gruppo sulla bici da corsa, mi ritrovi in garage fermo un ottimo Campagnolo Veloce, di quelli ancora belli, con guarnitura ultra torque e tanto solido alluminio ovunque. Le ruote ci son pure loro e per le gomme una ottima occasione su fixedforum mi fa accaparrare una golosa coppia di Challenge Grifo in versione open tubolar, il top in pratica.

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columbus zonaZino si mette al lavoro, lui tratta solo acciaio ed io amo quel materiale, così carico di storia ma anche dal grande potenziale in chiave moderna. Optiamo per la serie di tubazioni Columbus Zona cx, perfetto per lo scopo.

 

 

 

 

 

004Il lavoro non è comunque semplice, anche se dall’esterno sembrano solo “otto tubi saldati” (cit.) c’è dietro tanto lavoro, dato che a saldare son capaci (quasi) tutti, a fare un buon telaio molti molti meno.

 

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014_1Infine il telaio vede la luce, splendido, solido, nato per correre. Ma soprattutto seguito e conosciuto passo per passo da me che poi lo andrò ad utilizzare e questo credetemi fa davvero molto la differenza, diventa per sempre la tua bici e non un telaio comprato e basta, per quanto competitivo sia, c’è un qualcosa di più che rende fieri il possederla ed ancor meglio il pedalarla.

 

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Anche se il metallo a vista è bello da far paura, visto l’impiego in ambiente umido e fangoso ci voleva una verniciatura…e allora via al toto-colore:

nero: sai cheppalle

bianco: elegante, ma un po’ banalotta, e con il fango stacca troppo 😉

blu: non si può, che a torino il telaista che usa il blu già c’è

marrone: nein, poi si confonde col fango e sempra sempre pulita (o sempre sporca)

verde: troppo british e non mi piace

arancione: mica è una KTM?

rosso: non mi piace

…..

giallo, mi garbava, con i componenti neri ci prende bene, fa anche da base per la bandiera delle Fiandre, patria del ciclocross… e poi una bici nera e gialla fu la mia prima bici…. sicchè  giallo segnale sia RAL 1003 (ottimo il 3 finale).

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Poi un capitoletto va speso a quanta energia e professionalità ci hanno messo i ragazzi di M2 ad allestire la corona da 44 specifica. La campagnolo stessa non la produce, ha in catalogo solo la 46, ma la mia gamba e la mia propensione all’agilità non mi permette una dentatura così alta. Così dopo tanto studio, lavoro al CAD e prototipi, Michele e Morgan hanno tirato fuori questo capolavoro, che dopo un’intera stagione di duro lavoro si conferma perfetta in tutto, e pensare che era la loro prima esperienza con una corona non singlespeed/pista, quindi se il buon giorno si vede dal mattino la officina Mquadro avrà ancora moltissimo da dare in tutti i campi del ciclismo!

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Qui di seguito la lista degli attuali componenti ed un po’ di foto statiche del buon neo-australiano Matteo Zolt, e dinamiche in qualche garetta.

Ci si vede domenica!

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Gruppo: Campagnolo (e cosa sennò) Veloce 10v del 2008

Freni: kore cross con pattini da v-brake del decathlon (perfetti)

Ruote: mavic cosmos (ma le alterno con delle ksyryum SSL strepitose)

Gomme: challenge grifo ot (ma anche schwalbe cx pro quando c’è molto fango oppure dei semplici michelin transword quando il fondo è molto duro e scorrevole come nelle gare gravel)

Reggisella: crank brothers iodine 2

Sella: fizik arione kium (strepitosa nel cx ma anche su strada ottima)

Pedali: crank brothers egg beater SL (un must nel cx, provare per credere)

Serie sterzo: crank broters cobalt xc

Stem: crank brothers iodine 3 (sciccheria, ma sono un fan della casa)

Manubrio: deda rhm01 (semplice e perfetto)

Nastro: fizik (ottimo anche dopo tante infangate e lavaggi)

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“che ci faccio qui?” il mio punto di vista sul #cx per @cykeln_mag n.8

metto anche per mia raccolta personale l’articolo apparso sul recente numero di CYKELN Magazine che vi invito chiaramente a scaricare e leggere per intero!

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La domanda potrebbe all’inizio sembrare banale, ovvero un classico domandone del ciclismo, spesso visto dal di fuori, del tipo “ma chi ve lo fa fare?”. La differenza tra le due domande è però sostanziale e molto più ampia di quanto si possa pensare.

Su strada c’è la fatica, le salite interminabili, il sudore, i fondovalle infiniti senza nessuno che ti dia il cambio e a cui stare a ruota. Ma anche le discese, il tornare un po’ bambini, i chilometri che scorrono veloci sotto le gommine da ventitre millimetri. E allora è vero che spesso ti chiedi il canonico “chi me lo fa fare”, ma poi le emozioni della strada si alternano e passa tutto con una buona discesa, o un falsopiano in cui far mulinare le gambe ad alta cadenza e sentirsi bene con se stessi.

Il ciclocross non è niente di tutto questo. Fondamentalmente il ciclocross è una disciplina sbagliata, fatta con la bici sbagliata, nei posti sbagliati e soprattutto nel periodo dell’anno peggiore possibile.

Bene, ora se non avete già cambiato pagina vi racconto perché, nonostante queste pessime premesse, questa disciplina esiste ancora e, in aggiunta, sta vivendo una nuova primavera (il gioco di parole è involontario, ma tant’è).

roger_aldoLa scintilla nacque circa un secolo fa, subito a ridosso del ciclismo dei pionieri del primo giro d’Italia e del primo tour. Proprio nella Francia del nord, dove l’inverno è tangibile e dove i monti su cui sciare o simili eran per l’epoca troppo lontani per pensare di eleggere lo sci a sport invernale, qualche scriteriato provò ugualmente ad usare la stessa bici che usava in estate (sapete meglio di me che allora le bici da corsa erano ben carrozzate, mica i 6,8kg di tecnologia aeronautica di oggi) nei prati, tanto per mantenere la gamba. E se c’era un ostacolo da superare? Niente paura, si scendeva e si portava la bici a spalle per qualche tratto. Si giocava, in fondo, per il tempo lasciato libero anche dai lavori nelle campagne, quindi l’unione di noia e curiosità amalgamate insieme ancora una volta portò a risultati sorprendenti.

A proposito, sono convinto che tutta la vera arte nasca dal connubio di ozio e curiosità, ma non è questa la sede in cui dilungarmi, e anche per la storia della disciplina ormai esistono google e wikipedia, quindi cerco di raccontarvi qualcosa che, forse, ancora non sapete.

 

Si arriva senza nemmeno troppe varianti a quello che è oggi il ciclocross, con una stagione fittissima di gare ad ogni livello, da ottobre a febbraio, si corre con ogni condizione climatica a meno che arrivi proprio la protezione civile a sradicare i paletti del percorso. Il percorso (quello è il vero fulcro) è in genere dai 2 ai 4 chilometri, ma la lunghezza in sé non rappresenta molto quello che si ritrova in gara. Si parla di curve, tante curve, la maggior parte a 180° e (ovviamente) sull’erba o su terra, strette che sembrano non adatte alla bici, salite e discese, spesso le prime estreme in cui se non si arriva decisi e con il rapporto giusto è meglio scendere e andar su con la bici in spalla, tratti in sabbia che esaltano le doti di guida, ostacoli e, magari, anche qualche scalinata da salire. Tutte cose che non dovrebbero aver a che fare col ciclismo ma che invece riescono ad esaltarne il gesto atletico, a renderlo nobile come nobile è una mischia nel rugby, dove i tacchetti delle scarpe affondano nell’erba e nel fango per cercare di avanzare. Fa freddo quasi sempre e poi, appunto, fango, tanto fango, un mare di fango, dove a volte anche percorrere un rettilineo significa dover tirare fuori tutte le doti di guida che si possiedono per non cadere, dove le stesse biciclette dopo poco iniziano a pesare il doppio e a chiedere pietà ai propri padroni per quel trattamento ingrato, in fondo loro sono delle cugine delle nobili e scintillanti bici da corsa, perché umiliarle a quel modo?

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Tutto quanto descritto si svolge grossomodo nell’arco di un’ora, una sola interminabile ora: una delle poche certezze del ciclocross è proprio che bene o male ad un certo punto la gara finisce, poco importa quanta strada si è fatta in quel lasso di tempo. La corsa termina inesorabilmente e senza pietà. Un po’ come disse uno di quelli vincenti: “nel ciclocross (come in salita) non ti puoi nascondere”, se non sei all’altezza vieni inesorabilmente punito, se tiri i remi in barca da metà gara in poi idem. Non ci sono le tattiche e le strategie delle gare su strada, non ci sono ruote buone da seguire, non si lima, non si cura, si mena e basta. Il fuorisoglia cardiaco è costante, il tutto complicato dal dover mantenere altissima l’attenzione nella guida, altrimenti nella migliore delle ipotesi si ruzzola nell’erba, momenti per abbassare la guardia non ce ne sono mai, nemmeno negli sporadici tratti d’asfalto, spesso resi viscidi dal fango scaricato dai tasselli delle ruote, giro dopo giro. Di fatto la differenza tra un buon piazzamento ed un ultimo posto od un ritiro è sottilissima, appesa ad un filo più sottile delle fettucce che delimitano il percorso.

3012012_211335_panoramica mondiali ciclocross

Accade però qualcosa di strano in tutto questo maelström di curve, fango e fatica: spesso si dice che siano le condizioni estreme a rendere le imprese straordinarie e finire bene una gara di ciclocross è una cosa che rende talmente orgogliosi, che il sottile gioco di sfidarsi ancora e ancora prende il sopravvento.

Ci si trova così, costantemente in bilico tra il sentirsi dei reduci con onore ed avere dentro la voglia di ripartire verso la prossima battaglia, per fare ancora meglio, imparando dagli errori passati e costruire qualcosa di buono, che non è rappresentato dal vedere il proprio nome in classifica, basta una pacca sulla spalla dell’amico che ha corso con te a gratificarti ed a invogliarti ancora una volta a sfidare te stesso, in fondo basta poco: un bosco o un prato, paletti e fettuccia, la bici adatta e degli appassionati veri.

Ci vediamo là fuori il prossimo weekend…

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Sven Nys at Loenhout 2012

non è famoso come Contador, come Wiggins, come Crhis Hoy, e per un’assurda combinazione non pratica nemmeno uno sport olimpico (questa mi devo ricordare di continuarla…) ma è una vera leggenda vivente: belga e cannibale come sua maestà eddie merckx, solo che sven ha scelto di soffrire anche il freddo ed il fango oltre alla fatica! Si vede che è nato in una buon annata….

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SAÜTA FOSS – report e foto

E sì che ci siamo divertiti, e tanto! Tutto è riuscito ad andare meglio di quanto sperassi, con un sole fin troppo caldo a smollare un po’ il terreno, con tanti amici che hanno davvero la passione per questo che son sempre più convinto sia molto più che uno sport.

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Anche perchè vedo che può essere interpretato in talmente tanti modi che mi lascia sempre di stucco… e sabato, in un paesino alle porte di Torino di questi modi ne ho visti tanti: chi va forte ed è innamorato del ciclocross, chi va forte ma si mette in discussione affrontando la gara con una scatto fisso, senza freni sul terreno fangoso e scivoloso come quel campetto ci ha dimostrato essere, chi viene perchè ha voglia di dare il meglio di se a prescindere da quello che dirà la classifica, e anche chi c’era perché era bello essere lì a godersi lo spettacolo e magari scattare due foto buone.

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vin_brule2A condire il tutto una bella pentolaccia di vin brulè, che ha mietuto illustri vittime (lo devo rifare, assolutamente, prima che faccia troppo caldo…)

Veniamo ai compiti istituzionali… I partenti:
1) giò Perro
2) Paolo – bluedado
3) Andrea
4) sergio3vi (Fixed)
5) Ovidiu (Fixed)
6) andrygroove
7) Beppe (Fixed)
8) giodicebasta
9) Valeria
10) giudo Casbah Ciclo Club
11) olti
12) Lito 10cento
13) Zino
14) Vara
15) Mattia Uais Legor
16) gherli
17) Enry mega drop

Alla fine, stante il classico ritardo e i timori di tenuta fisica di tanti (me compreso), si è deciso di fare solo 30 minuti +2 giri, comunque sufficienti a spremerci quanto bastava, e nessuno si é tirato indietro, peccato i guai meccanici di Olti, altrimenti tutti avrebbero fatto il percorso completo.
La classifica parziale:
1 – Paolo bluedado (uno specialista e si vedeva!)
2 – Mattia Uais Legor (con una bici “sua” in tutti i sensi)
3 – vara (le nuove leve che spingono forte!)
4 – Ovidiu – primo con fissa
5 – andrygroove
6 – Enry (secondo con fissa)
7 – sergio3vi (terzo fissa, pure brakeless)
8 – Zino

winnerPaolo giustamente festeggia alla “belga” e qui trovate il suo report di gara!

valeMenzione speciale per la Vale, morosa di giò, unica donna presente che non si è mai tirata indietro, mordendo le curve fino all’ultimo giro!

Premi d’alta classe,  con i pezzi da gioielleria di Mattia-Legor e scarpe, felpe e abbigliamento di le coq sportifgrazie a gigi che ormai è considerato un vero mecenate del ciclismo differente…

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Infine, non posso dimenticare di ringraziare la mia inossidabile mini crew di aiutanti, in primis doge78, sempre pronto a dare due mani anche se incasinato fino al collo, la mitica spalla luca/spugna e il nuovo arrivo ma subito essenziale, Federico/blueice che ci ha messo parecchio del suo, e a Marco Cusati, che visti i danni causati dal vento il giorno prima, si è messo per quasi un’ora a risistemare tutto il tracciato affinchè fosse perfetto per gareggiare!

Grazie di cuore, senza di voi tutto sarebbe stato molto più faticoso e non mi sarei potuto permettere di corrermi la gara…compresi i “pit stop” a suon di vin brulè.

crew

Ora godetevi le splendide foto fatte dagli amici (ma fotografi veri!!) Matteo Zolt e Luca/jackb73.

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