Erano diversi anni che non avevo due settimane di ferie di fila ad agosto, e cosa di meglio che non tornare nel Salento, dove mio suocero ha ancora tutti i suoi fratelli e dove clima, mare, cibo e città sono tutte un meraviglioso insieme di ingredienti che rendono la canonica vacanza estiva indimenticabile.
La volta precedente che ero stato laggiù era il 2004, un’era geologica fa. Non ero ancora così immerso nel ciclismo e pesavo anche qualche chiletto in più. Poi sono arrivate le bici, lo scatto fisso, i forum e la conoscenza diffusa e a portata di mano (ed è innegabilmente un bene). A saper cercare, la conoscenza di pochi diventa conoscenza di tutti, ed anche i piccoli artigiani, i maestri della scuola italiana vengono allo scoperto, e qualche giovane, nemmeno pochi per fortuna, trovano forza e coraggio per raccogliere l’eredità e portare avanti quello che è un mestiere bellissimo: il telaista.
Fortuna vuole che uno degli esponenti della scuola italiana delle biciclette sia ancora in attività in quel di Monteroni di Lecce, piccola località nel Salento.
I vecchi amanti del ciclismo su pista si ricorderanno ancora, forse, del velodromo degli ulivi che proprio lì a Monteroni fu teatro dei mondiali su pista (guarda caso) nel 1976 e che videro la vittoria iridata di Francesco Moser nella disciplina dell’inseguimento individuale; all’epoca quel velodromo credo fosse l’unico al mondo rivestito il legno d’ulivo e diversamente non poteva essere, state la bellezza ed i frutti di quella terra del sud Italia (oggi si sta tentando timidamente di ripristinarlo, tra mille difficoltà). Tutto questo mi riempie già la testa di mille idee e progetti per questa estate. Passo primo: contattarlo. Ebbene, mi misi con poca speranza al telefono in un pomeriggio di inizio luglio, ma con mia piacevole sorpresa, Carlo Carlà non solo mi rispose, ma tra noi ci fu una bella chiacchierata durata quasi venti minuti, nei quali parlammo di un po’ di tutto, telai, velodromi, corridori… Alla fine gli promisi che da lì ad un mese sarei passato nella sua officina, anche se sarebbe stata la settimana di ferragosto, lui rispose laconico: “ragazzo, vedi, sono entrato in officina che avevo dodici anni e qui starò finchè avrò forze, per cui il giorno che tu passerai, qui mi troverai”.
E quel giorno arrivò fin troppo in fretta, giusto il tempo per collezionare quei pochi componenti che ancora mi mancavano per avere tutto il set pronto per montare una bici da pista. Così dopo (solo) 1250km di viaggio, ebbe inizio una di quelle vacanze indimenticabili, riscaldate dal calore del sole e dall’affetto della famiglia e delle persone che meritano di esser conosciute.
Il primo approccio fu un po’ difficile ma avevo un asso nella manica: mio suocero. Egli infatti è nato poco distante e, nonostante le apparenze un po’ burbere, è persona molto propensa allo scherzo e alla battuta, così mi fece compagnia armato anche del dialetto salentino (diversissimo dal barese/foggiano che tutti conoscono come dialetto pugliese). Immediatamente si concretizzava un feeling sincero con quell’uomo piccolo, acuto, dalle mani che non nascondono quanto duro sia il lavoro di officina ma con l’abbigliamento sempre classico e curato che solo quelli della sua generazione sanno ancora vestire con così tanta dignità.
Ero intenzionato anche solo ad acquistare un telaio da pista già pronto, ma l’unico disponibile era obiettivamente troppo grande per me e allora mi disse: “non ti preoccupare, tu vieni domani e in qualche ora lo impostiamo”. Ora, conoscendo tempi e la scrupolosità degli artigiani telaisti, non nascondo che qualche perplessità l’avevo. Imbastire un telaio in poche ore non è cosa facile, ancor meno, credevo, ad 89 anni e con settant’anni di carriera sulle spalle. Mi presentai da lui come convenuto e subito andammo al suo garage, quello bello, dove regna l’ordine e dove, in bella mostra, ci sono tutte le bici finite, sia da lui realizzate che restaurate, e c’è l’armadio del materiale. Mi passò un borsone e con un perentorio: “reggi ‘u saccu” iniziò a metter dentro tubi, forcellini, congiunzioni e tutto quanto serviva per confezionare un telaio, anzi quello che sarebbe stato “il mio telaio”.
Giunti in officina, dopo un ottimo caffè “in ghiaccio” come usa in Salento, Carlà iniziò subito a lavorare. Si muoveva tra le macchine utensili e il banco da lavoro con gesti sempre precisi e mirati. Mentre le sue mani lavoravano, mente e parole non smettevano di fluire in un continuo di domande e racconti. Le informazioni in merito alle misure e geometrie però necessitavano di attenzione e in quei frangenti venivo come attraversato dai suoi occhi piccoli e luminosi, come se i numeri che io dichiarassi a lui non fossero solo necessari a tagliare e sagomare tubi, a definire geometrie, ma come se questi dati fossero il codice per entrare ancora di più in connessione con il suo mondo e fargli capire se quel ragazzotto cresciuto che gli stava davanti era un semplice collezionista o un appassionato vero, di quelli che amano in pari misura sia il bell’oggetto che è la bicicletta in se, sia le emozioni che si ricavano attraverso di essa.
In quei momenti ebbi, se ancora ce ne fosse stato bisogno, l’ulteriore certezza di aver di fronte a me un vero telaista, cosa ben differente da un buon saldatore, che conosce a fondo il mestiere di “costruire biciclette”. Un telaista interpreta quelle che sono le esigenze del cliente dando a lui il risultato sia delle misure antropometriche sia delle sue attitudini, del suo stile di pedalata e di corsa, realizzandogli un telaio che, come un abito sartoriale, non solo calza a pennello, ma trasmette sensazioni ed emozioni che vanno al di là del semplice oggetto pregiato. Mentre quei pensieri rimbalzavano tra le decine di oggetti dell’officina il tempo passava veloce ed in meno di cinque ore il triangolo principale del telaio era puntato in dima: definito, bellissimo, unico per sua stessa natura.
Dopo un suo mezzo sorriso di soddisfazione mi disse: “ora dammi un paio di giorni, lo completo, lo rifinisco, e poi ci vediamo per il montaggio”. Contavo le ore, ripassavo mentalmente l’elenco dei componenti rassicurandomi che non mancasse nulla, immaginavo come sarebbero state le prime pedalate.
Venne il giorno della consegna ed ovviamente arrivai in anticipo per godermi anche le ultime lavorazioni sul telaio: le limate finali, la sabbiatura, lo spianamento delle estremità del tubo sterzo (classicamente da un pollice) ed il ripasso dei filetti del movimento centrale (rigorosamente a passo italiano). Tutte operazioni che il maestro attuava con totale naturalezza e fluidità mentre io mi perdevo nell’osservare le sue mani che, come per i musicisti, negli anni si modificano ed assumono la forma che il lo strumento e l’esercizio richiedono, dando, ad un occhio attento, la possibilità di individuare lo strumento suonato semplicemente osservandole con attenzione.
Dichiarato finito, il telaio necessitava del tocco finale: il fregio sul tubo sterzo, la sua punzonatura e relativa iscrizione nel registro d’officina. Ammetto che questo è stato uno dei momenti che più mi ha emozionato. Veder aprire il registro, sfogliarne le pagine consunte dallo scorrere del tempo e iniziare a scrivere in bella calligrafia la data, il mio nome, il tipo di telaio confezionato ed il suo numero di matricola, il 680, ha posto il sigillo su qualcosa di davvero unico ed irripetibile. Quel semplice numero scritto sarà quello che per sempre legherà me al maestro Carlo Carlà, alla sua officina e, non ultima, alla sua terra che nonostante la distanza sento così vicina.
Il montaggio è veloce, i componenti sono tutti ben assortiti (alcuni con me da anni) e l’insieme che ne risulta mi par da subito armonico ed appagante. Un brivido mi attraversa quando il maestro, vedendomi attonito mi dice: “beh, che aspetti? Provala!”. Mi siedo sul pavimento dell’officina e mi infilo di fretta gli scarpini, esco e respiro il vento salentino, aggancio i pedali e via. Poco più di due semplici chilometri, visti dal freddo elenco delle mie attività in bici, ma sarebbe meglio definirli come duemila metri, pieni di duemila vibrazioni. Cinque minuti in sella, ma meglio trecento secondi con almeno un’emozione ogni tre secondi… fanno un bel po’ di emozioni.
Tornando un po’ meno poetici, il telaio risponde alla grande, è facile e divertente da guidare, rigido quanto basta, stabile sul veloce e svelto nel curvare. Per favore, non chiedetemi il prezzo che ho pagato, non avrebbe senso, non racconterebbe tutto quello che ho ricevuto in questa bella vacanza in Salento.