Che cos’è un sogno? Spesso gli scienziati dicono sia una nostra proiezione mentale o un metodo che ha il nostro cervello per scaricare i dati superflui immagazzinati nella memoria durante la giornata. Ma non è tutto, non può essere tutto. C’è ancora quell’alone di mistero, oltre la scienza, che fa sì che immaginando e spingendo oltre i nostri desideri, focalizzandoci su di essi ogni giorno, coltivandoli, possa far avverare i sogni, un giorno…
… ed è il caso della passata domenica, dove, nel primissimo mattino, sotto un grigio cielo milanese, mi ritrovavo in un deserto corso Buenos Aires…
Che poi, corso Buenos Aires a Milano può davvero definirsi un piccolo pezzo di New York catapultato in Italia, solitamente caotico e trafficatissimo, mentre ora mi sembra di esser dentro una puntata di “the walking dead”, silenzio surreale. Per fortuna, però, non sbucano zombie affamati a ostacolare il mio cammino, ma qua e là qualche sparuto pedone si intravede, lasciandomi il dubbio se si sia svegliato presto come me o stia rientrando da una intensa nottata tra i locali della metropoli meneghina…
Questa situazione quasi surreale, gioca tutto a mio favore, riesco infatti ad avere il mio momento di concentrazione massima proprio ora, quando, con una certa ridondanza linguistica, sto andando come l’anno scorso al Vigorelli in sella alla mia (Cinelli) Vigorelli. Oggi si corre da Milano a Torino con la scatto fisso. La bici scorre silenziosissima, fin troppo. Mi trasmette la giusta fiducia facendomi comprendere che si digerirà tutti i 150km dato che anche il pavè di porta Garibaldi scorre via senza che lei si scomponga troppo, nonostante il pieno carico delle due borracce a bordo.
Arrivo al Vigorelli e vedo già tanti volti amici e tante bici, tutte tra loro estremamente diverse, accomunate solamente dalla trasmissione a scatto fisso. C’è di tutto: acciaio (tanto), alluminio, carbonio (poco), alto/basso profilo e manubri di tutte le fogge. Io, come gli altri anni, mi affido all’assetto da crono, reso solo un minimo più comodo da uno spessore da 5 mm sotto lo stem: non mi ha mai tradito e c’è sempre stato un momento, breve o lungo, dove mettermi giù sulle appendici è stato determinante.
Non siamo moltissimi a partire, circa 65. Le ultime due edizioni funestate dal maltempo, e l’esplosione del fenomeno criterium, hanno un po’ messo in secondo piano quello che era l’appuntamento principale della stagione per gli amanti del fisso a pedali. Iscrizione rapida, il tempo di mettermi nelle tasche gli attrezzi, telefono e qualcosa da mangiare e via che si parte, ci vediamo a Torino!
L’uscita da Milano è sempre festosa, siamo corridori sì ma anche una sorta di massa critica che afferma la voglia di riprendersi le strade, almeno alla domenica mattina, dove salvo rare eccezioni nessuno può veramente dire di aver fretta in auto, per andar dove poi? al lago o in montagna? Vige ancora, per fortuna, la regola di non belligeranza fino ad Abbiategrasso, tra i nuovi della MiTo ci sono anche le migliori gambe del panorama, ad esempio il mio amico Torinese Luca C. con il suo STØRM, Fabio A. di Cykeln, il grandissimo “Guanda” che sprizza entusiasmo da tutti i pori ed il suo amico Michel Chocol, vero atleta di alto livello, vincitore di svariate granfondo e dal fisico perfetto. C’è poco da fare, i corridori veri li riconosci già da quando scaricano la bici dall’auto per schierarsi in griglia, e lui non fa eccezione, armonioso nella pedalata e sicuro di potersi giocare le sue carte. Prima della partenza mi chiede anche qualche indicazione sulla strada da seguire una volta arrivati a Settimo, e gli mostro sul suo cellulare dallo schermo enorme (saranno 6” minimo) quella che è una via chiara e facile da riconoscere per arrivare in corso Casale a Torino.
Passati i primi 50km si inizia a far sul serio, come era naturale aspettarsi. Nessun “break away”, come si usa dire in gergo, ma tutta una serie di allunghi che decimano il gruppo (a Morano perdiamo ad esempio Matteo RR e Paolo tZE alla loro prima partecipazione) . Michel C è risulta quasi affascinante da vederlo pedalare, sembra non far fatica, ha una progressione che fa male agli avversari, e rimane impassibile in volto: non fa capire se quello è il suo limite oppure con noi sta solo giocando come il gatto con i topi…
Il vento è presente ma soffia di traverso, qualche volta di 3/4 a favore. Mi metto anche io di buona lena e faccio qualche volenteroso turno davanti, a tirare. Mi trovo sempre comodo a star sulle prolunghe, anche per tempi piuttosto lunghi, e riesco a far veleggiare i miei compagni d’avventura attorno ad una velocità di crociera di 38-40km/h. A Borgo Revel (paesino dal nome che ho sempre trovato affascinante) anche Roby D’Anna e Luca A. decidono di averne abbastanza delle “specorate” e passano, giustamente, in modalità gita sociale.
I chilometri scorrono, non sembra vero di averne fatti già più di 100, quando in allenamento già solo la metà si fanno sentire così brucianti nelle gambe: potere del gruppo, della capacità di “limar le ruote” e stare coperti dal vento, Fabio, Luca, Alberto e gli altri ovviamente lo sanno, e tutti abbiamo ancora qualche cartuccia da sparare, tutto sta nel farlo al momento giusto. Per quello le gare sono così affascinanti, perchè a saperle leggere sono estremamente complesse pur nell’ estrema semplicità di andare da A a B.
Ci approcciamo all’abitato di Chivasso esattamente a mezzogiorno, ancora non lo sappiamo, ma sarà un vero mezzogiorno di fuoco! Siamo tutti convinti (ormai siamo una quindicina) di percorrere la via centrale, pavimentata in pavè e pedonale, ma che accorcia di molto l’itinerario… sappiamo che sarà chiaramente trafficata dai pedoni domenicali, quello che non sappiamo è che oggi c’è anche la fiera di paese! Apro un varco tra la folla come Mosè di fronte alle acque del Mar Rosso (passatemi l’irrispettoso paragone), la differenza è che invece dello scrosciar delle onde ci lasciamo alle spalle uno scrosciare di leciti insulti nei nostri confronti, stante l’assetto da orda di barbari con la quale svicoliamo tra folla e bancarelle. La buona notizia è che nessuno si è fatto male.
Poco prima di Brandizzo, Michel decide che è tempo di chiudere i conti e parte con uno scatto da “hors catégorie”. Come due leoni Fabio e Luca si lanciano al suo inseguimento, noi pochi superstiti (otto) li vediamo in lontananza. Fabio pare essergli in scia, ma Luca, in realtà è più staccato. Il loro progetto dura il tempo di arrivare a Settimo: saltano entrambe, nulla si può contro l’uomo bionico! Sparisce anche dalla visuale, favorito annunciato, che credo centrerà il pronostico fatto da tutti.
Per Settimo, da sempre punto cruciale della corsa, ho in mente di mettere in scena lo stesso “show” dello scorso anno, ovvero, via pedonale (di nuovo) poi 300 metri di contromano e poi giù fino in piazza Sofia a Torino, attuando la famosa variante del cimitero. Attimo di brivido vero quando, finita la via pedonale, non mi accorgo della presenza di una catena tra due paletti che mi si para davanti: freno con pinza sull’anteriore e gambe sul posteriore, e questo basta per fortuna a non farmi fare un carpiato in avanti ma a pizzicarmi solo le dita. Sono incolume, niente paura, i battiti aumentano ma solo per colpa dell’intramuscolo di adrenalina inflitta dal momento di panico. Riesco a spostare la bici e ripartire, per il viale in contromano siamo solo io e Dario, ma gli altri, che stanno facendo il giro più lungo, si ricongiungeranno alla solita rotonda, che risulterà essere decisiva per lasciare Settimo e dirigersi verso la direzione più conveniente.
Da qui in poi la corsa si tramuta in una velocity urbana (se non sapete cos’è, qui un prezioso link di storia…) ed emergono le capacità, mie e di alcuni compagni di avventura, di saper spingere forte sui pedali anche in presenza di traffico, semafori, rotonde e tutto il panorama di ostacoli cittadini. Non sono tecniche che si possono improvvisare, ne va soprattutto dell’incolumità di chi gareggia. Come dice Lucas Brunelle, uno che di corse urbane un po’ se ne intende, noi siamo la categoria di ciclisti che esiste negli interstizi del traffico, in quegli spazi che i più nemmeno ne immaginano l’esistenza. Negli anni di alleycat, e competizioni cittadine, abbiamo imparato invece a riconoscere quei varchi e a renderli dei posti sicuri dove stare, a concepire traiettorie sulla carta sbagliate ma nella pratica redditizie, ed è quello che fa la differenza alla MiTo, da sempre.
L’ultimo ostacolo prima del ponte ciclopedonale del lungo Po Antonelli è l’incrocio con corso Belgio: semaforo rosso! Qui il flusso di traffico è davvero troppo veloce e voluminoso per poterlo sfidare, ci fermiamo tutti. Nel ripartire però non riesco ad agganciare il pedale, provo una volta…. due… tre, nulla! I ragazzi mi sfilano anche se siamo tutti a pochi metri di distanza, arranco, per poi finalmente sentire il “clack!” risolutivo che mi permette, finalmente, di alzarmi subito sulla sella per spingere fino all’ultimo incrocio.
Do per scontato che Luca, torinese, sappia che si deve svoltare leggermente a sinistra, invece vedo che si butta a destra, e rilancia pure! Gli altri lo seguono e trovo la voce per gridargli: “ragazzi, è di qua!!”. Mi butto al volo sul ponte, mi serve un po’ di lucidità alla fine di esso per non andar dritto giù per le scale, ma imboccare il sentiero (sì avete capito bene, sentiero sterrato in discesa lungo circa 6-7 metri) che percorro con la ruota dietro bloccata, anche per la tensione che mi sta assalendo e dalla paura di finire a terra a 150 metri dal traguardo.
Dovrei star morbido, ma non mi riesce. Finalmente ritrovo il rassicurante asfalto di corso Casale (messo non poi così meglio del mini tratto sterrato che ho appena percorso) ed il tempo di un ultimo rilancio, e vedo che c’è solo il mio amico Filippo a presidiare il traguardo! Cerco ovunque con lo sguardo la sagoma di Michel, ma non lo vedo, non c’è, anzi non c’è ancora. Vuoi vedere che ho vinto?!
Passano secondi interminabili prima che io realizzi che, sì, è andata proprio nel modo più sorprendente possibile. E’ andata che per arrivare primi in questa corsa non basta avere tanta gamba ed intelligenza tattica, ma anche aver pianificato un itinerario redditizio ed averlo percorso al massimo possibile, fino dentro la città, quella città che mi ha dato i natali, e che ora ammetto mi sta regalando la mia gioia sportiva più grande. Albo d’oro, e dati alla mano, sono il primo torinese ad aver vinto questa splendida classica del ciclismo alternativo e, ciliegina sulla torta, segno anche il record assoluto della gara con 4ore e 8 minuti, 5 minuti meno dell’edizione del 2013, l’ultima asciutta dopo le funeste 2014 e 2015.
Aspetto con sguardo tra il sognante e il divertito l’arrivo di tutti i ragazzi che hanno partecipato, li vedo tutti sorridenti, così come mi conferma l’organizzatore Marcello. Per il prossimo anno, che sarà il decennale della MiTo, come della redhookcrit, guarda caso, tutti ci impegneremo a far sì che si parta da sopra il legno del velodromo Vigorelli per giungere, “scorrendo”, sul cemento del Motovelodromo Coppi e poter così celebrare questi due monumenti, e dar merito a chi anche negli anni bui non ha mai permesso che andassero definitivamente perduti.