sento in questo periodo molto fermento in merito al fenomeno delle criterium a scatto fisso ed alla loro evoluzione e/o direzione che stanno prendendo, mi par necessario qui e ora mettere in chiaro alcune considerazioni dettate solamente dal fatto che ho avuto la fortuna di vedere l’intera loro evoluzione.
Sta iniziando la stagione di gare 2018, le novità sono tante, i cirucuiti di gara per le criterium a scatto fisso ora sono almeno tre con svaritate tappe in tutta italia ed il fermento di squadre, corridori e costruttori è oggi più vivo che mai. Eppure una parte della cosiddetta “old school” storce un po’ il naso. Si inizia a dire che prima era diverso, che ora manca lo spirito iniziale, non c’è quell’amicizia di fondo che faceva da collante, tutti sono, o si ritengono, dei pro ecc, ecc, ecc…
Seppur dichiaratamente sia da annoverare nella categoria su citata, sia per età anagrafica sia per esser stato fortunatamente presente sin dal giorno zero della nascita di questo piccolo grande fenomeno del ciclsimo, io ad esser un malmostoso brontolone con il dito alzato proprio non ci riesco, ed ora provo a spiegare il perchè.
Tutti gli inizi sono belli e carichi di elettricità statica nell’aria, questo è fuor di dubbio. Esser consapevoli di dar vita ad un qualcosa più grande del nostro quotidiano dà inevitabilmente quell’euforia che riesce, tra le altre cose, ad imprimere nella memoria alcuni momenti in modo indelebile. Una su tutti la prima redhookcrit qui a Milano senza dubbio, ma ancor più la seguente criterium di Modena, in un semplice rettangolo di una zona industriale con bici a volte anche naif ma con un entusiasmo che scaldava come fuoco la fredda notte di inizio novembre, era il 2010. Andava bene tutto, andavano bene i pedali con le gabbiette, il manubrio a bull-horn, i telai vecchi da corsa convertiti, le ruote con il pignone saldato a mano al mozzo in improbabili acrobazie tra metalli ed era sì, certo, divertente e spassoso, sono nate amicizie che ancora oggi sono solidissime e per molti è stato l’inizio di una evoluzione ciclistica del tutto personale che ha portato alcuni a diventare veri e propri viaggiatori in bici, con mia grande stima ed ammirazione nei loro confronti (voi sapete chi siete).
Ma quello con cui bisogna necessariamente fare i conti è che siamo nell’era di internet, che ci piaccia o no e a giudicare da quanti di quelli che conosco sono, ad esempio, su Instagran, ne deduco che ci piace eccome, la velocità a cui viaggiano e si diffondono le informazione è seconda solo a quella della luce. Bene, se dunque ci piace condividere le nostre esperienze è anche inevitabile che molti si incuriosicano, si informino e sfruttino (in senso completamente positivo) la vostra esperienza per bruciare le tappe e presentarsi pronti e consapevoli alle prossime gare, magari dandoci anche della gran paga!
Nel contempo, in questi anni, anche reperire l’attrezzatura si è trasformato da un affare per carbonari (ancora ricordo quando grazie ad Aldone ebbi tra le mani il mio primo mozzo pista, quasi pensavo lo avesse forgiato direttamente lui…) ad un fiorire di negozi fisici e, soprattutto, online con tutto quanto serve sia per correre sia semplicemente per provare la pedalata a rapporto fisso. Scatto fisso che, in realtà, è un gran (bel) ritorno al passato dato che sempre in inverno per preparare la stagione di gare, i corridori veri facevano lunghi allenamenti a scatto fisso per poter avere una pedalata più rotonda ed efficace. La possibilità per tanto di avere un bel panorama tra cui sceglere questo antico/nuovo modo di pedalare non può che far del bene sia a noi sia al nostro mercato italiano, sempre in prima fila quando c’è da innovare, specialmente in campo ciclistico.
E proprio guardando al passato che risulta ancor più facile capire l’intera dinamica di questo fenomeno. Se abbiamo qualche nozione base della storia del ciclismo, vien naturale ricordare che le grandi corse classiche, quelle con ormai più di un secolo di storia sulle spalle, sono nate da idee di persone coraggiose, curiose e con la voglia di sfidare prima di tutto loro stessi. La prima Milano – Torino (no non quella di cui parlo spesso, ma quella del 1876) fu corsa da otto corridori con bici con cui oggi non adremmo nemmeno a prendere un gelato, per il puro piacere di competere con grande spirito d’avventura. Degli otto ne arrivarono solo quattro a Torino ma da lì l’evoluzione naturale delle corse ha portato a quello che il ciclismo è oggi, nel bene e nel male: ed ecco le dirette TV, le ammiraglie, le radioline e (cosa buona) le strade riasfaltate dove sarà poi previsto il passaggio della tal corsa, meglio dell’anas!
Unendo questo scenario e portandolo ai giorni nostri è del tutto comprensibile come un idea fresca ed originale come quella di David Trimble, a cui va attribuito il grande merito di aver saputo mescolare il ciclismo classico al movimento dei messenger, ha in soli dieci anni cambiato radicalmente il panorama di questo nuovo ciclismo, facendolo diventare vera e propria disciplina.
Ritengo, inoltre, sia stato un bene ed un necessario punto di non ritorno l’aver visto nell’ultima redhookcrit di Milano un professionista in attività correre e dominare la gara. In questo modo si evita il classico fenomeno alla “granfondo amatoriale” che poi amatoriale non è ma è dove (scusatemi il termine) vanno a spiaggiare tutta una serie di ex-pro o pro mancati (chi ha detto pummarola pro) che chiaramente hanno in gara vita facile contro dei semplici amatori appassionati con un lavoro da 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana ed una famiglia. La direzione impressa è, quindi, verso la piena spettacolarizzazione del fenomeno, aiutata anche dall’esser una formula di gara molto più telegenica che, ad esempio, la classica tappa del giro d’Italia con le 3-4 ore di diretta nelle quali per l’80% del tempo obiettivamente non accade nulla di significativo. Qui invece siamo al cospetto di gare corte, meno di un’ora, su circuiti urbani brevi e facilmente copribili interamente con 6-7 telecamere fisse in luogo degli imponenti mezzi del ciclismo classico (moto, elicotteri, postazioni di regia ecc ecc…) e con una serie continua di colpi di scena in gara, per non parlare della possibilità di integrare le riprese delle camere a bordo pista con delle micro camere on-board sulle bici e realizzare quello che potrebbe diventare il MotoGP del ciclismo, investitori siete avvisati.
Nasce quindi, e sul serio, una nuova disciplina come lo fu il keirin in Giappone negli anni 50, ma con il fascino delle corse notturne, brevi e cariche di adrenalina che anche su di un non addetto ai lavori esercitano un grande fascino. Le ali di folla per l’intero chilometro del tracciato milanese non sono fatte da solo da cilclisti assidui, ma da ragazzi e da famiglie, da curiosi e da entusiasti per un qualcosa che unisce il ciclismo, parte integrante della cultura italiana, agli action sport che sono la nuova linfa vitale dell’intrattenimento sportivo. Ci divertiremo.