La domanda, vista la situazione dal di fuori, potrebbe essere la classica: “ma chi te lo fa fare?”
Eppure lo fai, continui a farlo, recitando un rituale tanto consueto quanto sempre differente, con mille sfumature difficilmente apprezzabili da chi vive la cosa solo superficialmente. Se fai questo perchè semplicemente, va di moda, ti stuferai ben presto.
Invece io, e molti altri a cui sono legato, siamo ancora qui, a fare centinaia di chilometri con la bici nel bagagliaio e mangiare panini sciatti in autogrill, non per raggiungere dei locali da aperitivo o delle discoteche alla moda, ma per trovarsi solitamente in zone industriali semi-abbandonate, dimenticate al punto da esser diventate una risorsa per chi fa del ciclismo non un hobby e forse nemmeno una passione in senso stretto, ma un vero e proprio modo di essere, un approccio trasversale che ci porta a voler esplorare aspetti spesso nascosti ai più.
Non servono bici stratosferiche, carbonio, titanio e accessori al top. Servono delle “semplici” bici da pista, con nulla più dello stretto necessario, ma assolutamente a punto, un solo dado mal stretto e non solo si compromette la gara, ma l’incolumità stessa di chi corre. Poche cose, ma tutte fondamentali, così come fondamentale utilizzare il rapporto giusto tra corona e pignone, funzione di tante cose: del tracciato, della condizione, del tipo di gara che si vuol fare e delle proprie caratteristiche fisiche.
Si accelera, si cambia marcia e si frena con le gambe, ma questo credo che se siete qui a leggere da qualche tempo già lo sapete, giusto?
Tutto è nato da quella cometa precipitata a Milano nell’ottobre 2010, dove per una serie di combinazioni, tutte a mio favore, mi ritrovai nella prima criterium gara a circuito cittadino riservata a bici da pista (e non scattofisso, dico proprio bici da pista). Essere lì quella sera cambiò le cose, aprì un panorama nuovo ed inesplorato a tutti quelli che vedevano la biciletta non solo come un attrezzo sportivo, ma come un prolungamento di se stessi. Qualcuno sostiene di averla avuta prima di Trimble l’idea, peccato che non bastano le idee, bisogna anche metterle in pratica e questo accadde per la prima volta solo quella sera. Tante facce nuove, molte delle quali ora sono la colonna portante del movimento.
Poi, senza che nessuno pensasse minimamente ad ipotesi affaristiche o di marketing, nacque un inarrestabile movimento spontaneo che aveva colto l’esatto spirito di queste corse, ovvero la pura semplice competizione, senza strategie, senza trucchi, senza vantaggi per chi aveva più soldi da spendere in attrezzatura: bici simili, circuito semplice, pochi giri, tanto pedalare. Milano, Modena, Torino, Novara, Brianza, ogni sera una nuova gara per ritrovarsi, confrontarsi e condividere un qualcosa di dannatamente bello, ogni sera uguale e diverso allo stesso tempo.
Wild side Modena – cap. 2
Quando penso a questo mi viene subito in mente l’immenso Ayrton, quando zittì la platea di giornalisti che gli chiedeva quale fosse stato negli anni il suo miglior avversario, e lui invece di dire un Prost, un Bergher, un Mansell, saltò fuori invece con Fullerton e fece capire a tutti quali sono le vere cose importanti dello sport nella sua accezione più elevata, come vera scuola di vita.
Le cose ora, come è naturale che sia, stanno facendo il loro corso: chi ha talento sta giustamente raccogliendo i frutti di tanto lavoro, le gare sono sempre più belle tecniche e con corridori molto competitivi. Si corre ormai in tutto il mondo, quasi a cadenza mensile, per le gare più prestigiose, ma nel sottobosco son sicuro che anche a qualche ora di volo da qui ci sono ragazzi che come noi si trovano praticamente tutte le settimane, solo per la gioia di correre. Mentre la redhookcrit è diventato un vero e proprio campionato, emozionante a dir poco.
Mi fa un po’ sorridere chi dice che “non è più come una volta” solo perchè non deve più girarsi ad aspettare gli amici. Oltre agli amici ora ci sono anche i corridori veri, quelli che letteralmente vivono per correre e fanno sacrifici grossi come una cattedrale solo per andare più forte. Sono questi che nobilitano ancora di più queste gare, dove non si vince nulla ma si guadagna il rispetto e la stima degli avversari, fino alla prossima gara: battaglia in sella fino all’ultimo metro, abbracci e birre prima e dopo.
PS: tutto questo meritava anche da parte mia di passare a fare le cose un po’ più seriamente e di smetterla di fare l’orso solitario, ma questa è un’altra storia che vi racconterò a breve….
EDIT: le splendide foto son ad opera di messer Francesco Rachello aka strict