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PERCHÉ LA VERA GARA È AI CHECK POINT, MA IL CP1 È A 2054m … (contiene la via del Sale)

Scritta così, temo che lascerà attoniti molti. Occorre fare una premessa, per chi non è avvezzo a quelle folli garette chiamate “alleycat”. Tutto nasce dal contesto della sub-cultura urbana dei bike messenger. Per metter a tacere le discussioni nel corso della settimana su chi sia il corriere più veloce e scafato, l’idea fu di simulare un paio d’ore di prese e consegne da affrontare nel traffico dello shopping del sabato (perché il traffico è componente essenziale della sfida) per vedere chi effettivamente fosse il più rapido a districarsi tra gli indirizzi e le auto (e con il foglio delle consegne – aka manifest – intatto e completato) fino all’arrivo, in genere il classico pub. Semplici, folli, adrenaliniche e aggreganti come solo il ciclismo “diverso” sa essere. Si diffusero sempre più, prima nell’America del nord (a fare i puntigliosi la prima di sempre fu corsa a Toronto), poi in Europa e poi, stante il carattere giocoso, vennero aperte anche a chi corriere in bici non lo era, ma semplicemente simpatizzante del movimento. Si diffusero anche nella nostra piccola penisola, nelle grandi città. Ebbi il classico colpo di fortuna di essere al posto giusto nel momento giusto per poterne così assaporare tutta la sprizzante ventata di novità in un panorama ciclistico all’epoca un po’ grigio ed imbolsito.

Ora, se correre un alleycat è come star dentro un videogame o, meglio ancora, dentro ad un flipper dove tutto avviene a velocità 2x, tra incroci, sensi unici, check che non si trovano, le classiche due/tre ore di tempo volano via in un soffio, invece se fai il classico volontario al check point è tutta un’altra storia. Il volontario al check ovviamente arriva, prima al suo posto, aspetta un tempo che pare interminabile (tipo i pomeriggi di quando eravamo bambini) e poi all’improvviso si vede arrivare come un’orda di barbari, ma in bici, tutti con già il foglietto in mano, tutti in fila “all’italiana” (voi sapete di cosa si tratta) da dover soddisfare contemporaneamente! Il checker poi, passata l’ondata delle gambe buone, ripiomba nella totale solitudine, al limite in compagnia di una o più birrette, in attesa di tutti gli altri e a volte si illumina quando vede lo sparuto partecipante, per cui offre birra e consigli in egual misura. Come se non bastasse, a fine gara è anche ovviamente tra gli ultimi a giungere all’arrivo (che arrivo non è ma è sempre un mix tra una birreria ed un’officina di bici), quindi si perde anche la prima fetta del post gara: perfetto, no? Ecco perché, all’alba dell’era dello scatto fisso nostrano, fu coniata la massima: “la vera gara è ai check”. Ci va gente fidata, che conosca l’ambiente, che non esageri con le birre e che riesca a tener fede all’impegno dato… nulla di banale a ben vedere!

Tutta questa mole di intro, manco fosse un brano dei Sonic Youth, per raccontarvi che mi ritengo invece un privilegiato ad aver potuto dare una mano come checker della gara di ultracycling chiamata 20k (per chi lo intuisse, sì, 20k è il dislivello, anche se quello effettivo è pure di più…) ideata ed organizzata da quella mente adorabilmente folle del mio amico Andrea Collino.

Anche se qui l’itinerario è tracciato, le gare di questo genere, come ancor di più la celebre transcontinental race, sono di fatto delle alleycat che hanno come estensione una fetta di mondo ben più grande di una città, financo un intero continente. Quando ho saputo che Andrea cercava un volontario per il CP1, ovvero il primo controllo orario, della sua pazzesca 20k (partenza/arrivo a Pinerolo, anche questa non può essere una mera coincidenza fantozziana), non ho resistito e l’ho chiamato immediatamente. Detto-fatto: sei dei nostri, ci vediamo su! Il punto del controllo orario è fissato nel rifugio Sanremo, ed ecco che come per magia, da questo episodio in poi il nome “Sanremo” per me sarà nell’ordine: la classicissima di primavera, il rally (un tempo tappa del mondiale wrc), il rifugio CAI… ed a seguire mi pare anche un festival di canzonette.

Se non l’avete già cercato su google, vi basti sapere che quel rifugio è il più alto della Liguria, quota 2054 m s.l.m., non ha un gestore, ed è in completa autogestione di chi vi alberga. Una piccola cucina, un bagno ed un buon numero di posti letto sono tutto quanto serve per trascorrere un periodo di relax e ristoro nel corso della propria escursione, in bici o a piedi, attraverso quel tesoro che sono le nostre Alpi, posto esattamente al crocevia tra l’Alta Via dei monti liguri e l’antica Via del Sale, in pratica il paradiso dell’outdoor.

Al posto delle tre ore delle gare urbane, il tempo da trascorrere al check (per fortuna non da solo) va dalla sera del sabato (19:30 perché serve esser precisi) al tardo pomeriggio della domenica: incastro perfetto tra gli impegni di lavoro, esattamente tra una call del venerdì ed una riunione al lunedì pomeriggio a Torino.

Dopo una pedalata di avvicinamento da Savona ad Albenga, mi sveglio sabato mattina di buon ora, metto il naso fuori e… piove… perfetto, devo solo far un centello di cui metà sterrato e 4k di dislivello, un po’ di pioggerella non può che aiutare no? Ok, mentirei a me stesso se dicessi che ero entusiasta, aspetto un po’ di tempo, ne approfitto per ricontrollare tutto l’equipaggiamento che ho, dato che sono un bikepacker da scuola elementare, spruzzo un po’ di wd40 sul pacco pignoni dell’ekar per renderlo silenzioso per tutto il weekend e via, ora o mai più. Scelta perfetta. Prendo una leggera pioggerellina per non più di mezz’ora, poi resta solo il fresco di una bella mattinata estiva e le stradine dell’entroterra ligure che, nel caso non lo sappiate, sono un vero tesoro per qualunque ciclista: con le loro salite lunghe, mai estreme e sempre senza traffico.

I primi 60km in solitaria, su asfalto, volano via facili, mi dedico un panino a Molini di Triora e mentre ricarico i vari device mi gusto il buonissimo pane di Triora (se non lo conoscete, male, molto male) con un po’ di affettati. Intorno a me è un pullulare di bikers, per metà stranieri, con mtb che sembrano appena uscite dai migliori showroom del pianeta e pick-up che portano su e giù i suddetti riders. Bene, sono per lo meno in un buon habitat, ma ora tocca far la fatica vera. Ero già stato sulla via del sale, unica ed affascinante, ma mai partendo dal mare, il che dà a tutto un sapore di sfida. Mi immagino chi questa strada così impervia la percorreva da clandestino e per necessità, ma ancor più (sono sempre un ingegnere infrastrutturale) chi questa strada l’ha costruita, con nulla più che le mani, qualche utensile ed il servile lavoro dei muli. Quindi mi ripeto che, per quanto io pensi di star soffrendo sui pedali, sono a tutti gli effetti un privilegiato e percorro questa interminabile salita quasi con reverenza verso chi mi ha oggi permesso di godere di queste montagne in sella alla mia bici.

Muta il paesaggio costantemente: dai boschi di castagno, ai pascoli, ai boschi di conifere, fino alla totale assenza di alberi, quel classico quota duemila metri dove anche gli arbusti non hanno l’ardore di crescere, noi abbiamo la pretesa di salirci in bici, nonostante tutto, sfidando le rocce ed il vento. Oltre alla pendenza, infatti, ci si mette anche il fondo a farmi soffrire: un misto di roccia calcarea e sassi smossi che mette a dura prova la ricerca costante di una linea pulita su cui arrancare col mio ultimo rapporto perennemente innestato. Non sono avvezzo a gestire i movimenti della bici carica, mi sembra di dover guidare un tandem senza passeggero, che reagisce sempre con un gap temporale che mi mette costantemente in crisi. Di metter il piede giù non ne voglio sapere, non ora. Incontro un paio di e-biker fermi che mi guardano tra l’attonito ed il divertito, riesco a dirgli un candido: “scusate le imprecazioni!” ma mi rispondono con consapevolezza da locals che questo è esattamente il tratto giusto per buttarle fuori tutte, per cui fiato alle trombe!

Scollino infine l’ultimo tornante, è (quasi) fatta! Abbandono il tracciato principale per arrivare al rifugio, quasi non mi accorgo che di fatto pendenze e fondo non sono cambiati rispetto a prima, ma esser in vista dell’obiettivo mi galvanizza. Anche il dover percorrere qualche piccolo tratto a piedi non scalfisce il morale, tra poco finalmente vedrò i ragazzi dell’organizzazione, conoscerò il mio compagno di check e, non ultimo, sono perfettamente puntuale. E invece no! Arrivo come un ferroviere svizzero alle 19:15 e dopo pacche e sorrisi Andrea mi fa: “ma lo sai che i primi due son già passati!?”. Per la cronaca, il secondo, anche al traguardo, sarà il buon Federico Bassis del collettivo enough, una garanzia di qualità, che sta facendo letteralmente un’impresa fuori dal comune, almeno agli occhi di un mediocre ciclista amatoriale (non avventuriero) quale sono io.

In attesa dei prossimi concorrenti, mi prendo qualche tempo per ammirare dove sono. Un luogo fuori dal tempo, fatto di montagna aspra e asciutta. Tutto mi parla di viandanti, di pellegrini, di contrabbandieri, di chi ha percorso queste strade spinto da una necessità e da motivazioni enormi. Se chiudo gli occhi riesco quasi a sentire il rumore dei loro passi e l’ansimare dei loro respiri, affaticati dal carico, fisico e di pensieri, che si portavano sulla schiena. Arriva la notte, ed il cielo si popola di una quantità di stelle che raramente ho visto in precedenza, sembra quasi di poterle toccare tanto paiono vicine e luminose. Ma i nostri occhi sono puntati verso il sorgere di altre stelle: quelle dei fari dei concorrenti che, scollinando dalla via Marenca, spuntano come delle piccole nane bianche, ma che, invece di salire verso il cielo, costeggiano l’orizzonte percorrendo tutta la mulattiera di cresta, per un tempo che a noi osservatori pareva lunghissimo, ma che sicuramente sarà parso come una specie di sprint a ciascuno dei corridori che percorrevano quell’ultimo tratto di via.

Accoglierli è emozione pura, percepisci la loro fatica solo standogli accanto ed ascoltando gli scampoli di racconto di quei primi 300 chilometri, che comunque sono la parte più facile (precisato a ragion veduta dall’organizzatore Andrea).

La mattina dopo il rifugio è un brulicare di persone ed attività. Ciclisti, escursionisti, tutti si preparano di buon’ora a partire, tutti hanno già focalizzato il loro personale prossimo obiettivo. Ma tutto quel fervere di attività dura poco ed in breve tempo ci ritroviamo in due, soli, a governare l’intero rifugio e ad attendere tutti gli altri concorrenti. Il mio compagno di avventura, il sciur Benedetto B., sotto l’apparenza di un signore di media età dalla vita d’ufficio, è in realtà un vulcano di racconti ed aneddoti dei suoi tanti ed interminabili viaggi in bici (quattro volte la via di Santiago su quattro percorsi diversi, tanto per citare le più significative). Io sono incantato ad ascoltarlo, e nel mentre mi insegna pure a giocare a burraco! Ecco che la giornata che all’inizio mi appariva noiosa, scivola via come l’acqua di un ruscello alpino, e tra un racconto ed una scala completa di picche, è già ora che io prosegua nel mio percorso, se voglio arrivare in tempo per la cena al prossimo rifugio sulla via del sale. Nel pomeriggio di un’assolata domenica, in un puntino sulla mappa delle Alpi, le nostre strade si dividono, la mia, quella di Benedetto, quella degli organizzatori, quelle dei corridori. Qualcuno in anticipo sui suoi piani, qualcuno in ritardo ma che si sta godendo il panorama, qualcun altro che è sull’orlo di mollare ma non lo fa perché sa che poi la fatica ed il dolore passeranno e resterà solo un album di ricordi pazzeschi da poter sfogliare, di quanto erano da soli, al vento tra le montagne.

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di gare gravel ce ne son tante, ma al buio una sola ed è a Torino #gravelalbuio

… lo scorso anno saltai la primissima edizione per la classica sventurata sovrapposizione di eventi, ma quest’anno con testa e calendario liberi mi son tuffato nella notte per vivere una delle garette più divertenti di sempre!IMG_6397

L’appuntamento è a tarda sera, la partenza ancor di più… come le gare serissime (alla quale questa per nascita non appartiene) il ritrovo è in un punto, poi dopo un tratto neutro ci sarà la partenza vera e propria. Arrivo così al castello del Valentino che già un gruppetto è radunato e chiacchiera amabilmente. La notte ha già preso il posto della sera ed il fresco è godibile, non fosse per la comparsa delle prime inesorabili zanzare. L’iscrizione è facile, veloce e dal costo ridicolo, ma quel poco che ognuno paga lo dà volentieri per supporto a chi invece deve comunque dedicare una fetta non piccola del suo tempo a metter in piedi eventi come questo, quindi grazie per il lavoro ACT-420!

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Radunati tutti i partenti (una ventina, ma con prestigiosi ospiti da Milano) ci portiamo sul lungo Po, dato che una delle belle particolarità è che questa gara (corta rispetto alle gravel classiche, dato che parliamo di circa 30km) percorre tutte le stradine lungo i fiumi e canali torinesi, che sono ben più di quanto si possa pensare, quasi come una specie di Amsterdam con vista montagne.

Caso vuole che sia anche la notte della 24h di Le Mans e nemmeno a farlo apposta la partenza è proprio in vecchio stile endurance… tutte le bici in sfilata appoggiate al muro della ciclabile e noi rider indietro pronti per una mini corsetta…. VIA! Fortuna vuole che tutti hanno scarpe adatte anche a correre/camminare e nessuno ha quella classica andatura da paperotto a cui costringono le scarpe con tacchette classiche da strada. Per fortuna nessun intoppo ed accartocciamento e sfiliamo via subito ben sgranati.

Come dicono sempre i saggi: “una gara non è gara se non si scanna già dal primo metro!” ed in totale ossequio alla regola, sul primissimo tratto sterrato siamo già sopra i 30km/h, ci ricompattiamo in 7-8… siamo il gruppo di testa, ci sarà da divertirsi!

A meno delle criterium a scatto fisso (dove ovviamente il tracciato è arcinoto, corto ed abbastanza illuminato), non ho mai corso di notte, soprattutto mai su di un percorso di per se non banale come le strade bianche ed i sentieri sugli argini. La mia dotazione in quanto ad illuminazione è valida, su tutte la luce frontale messa sul casco sarà quella che mi caverà dai guai peggiori, semplicemente per il palese fatto di illuminare esattamente nella direzione in cui guardo. Le proporzioni, ombre e prospettive son però tutte diverse e “nuove” nonostante questo giro coincida in buona parte con uno dei miei percorsi preferiti di allenamento. Stanotte sembra tutto nuovo, avvolto da una sottile patina di fascino che mi fa rimbalzare in testa due semplici paroline. “che figata!”.

Il parco della Colletta scorre via in un sorso, quello che riesco a fare quando ci ritroviamo sul ponte della Stura, pronti a tuffarci nel secondo tratto, quello fino a San Mauro. Terreno insidioso questo, con una ciclabile che ha la prima parte in calcestruzzo sgranato e che mette a dura prova le bici ed i corridori a seconda di come si ha gestito la pressione delle gomme. Chi ha gonfiato molto, infatti, si trova con una buona scorrevolezza, ma con la bici nervosissima che salta sulle asperità del cemento, chi, invece, è stato più basso di pressione si ritrova con un mezzo lento ed impacciato, con in più l’insidia del poter pizzicare contro gli spigoli vivi che si presentano di tanto in tanto sulla pavimentazione.

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L’incredibile, stante il percorso ed il variegatissimo panorama di bici in gara (dalla scattofisso dura e pura, al cx, alla mtb nuova e a quella rediviva dagli anni 80, un arcobaleno in corsa sostanzialmente), è che nessuno di noi dovrà affrontare l’avvilente scocciatura di forare in gara, il che è cosa più che buona e parlo per esperienza!

Scavalchiamo il ponte di San Mauro e inizia il tratto gravel un po’ più impegnativo: stretto, dal fondo nella seconda parte smosso e pieno di buche le che piogge degli ultimi giorni, ma farei meglio a dire delle ultime settimane, ha ridotto ad enormi pozzanghere. Matteo, oggi in grande spolvero, ha un impianto luci superlativo e ci alterniamo davanti a far l’andatura in tacito accordo e divertendoci come non ci capitava dalle alleycat torinesi di molti anni fa, tutto questo già di per se rende strepitosa l’esperienza di questa notte.

Ma è superato il ponte su Po che la cosa si fa davvero seria. Siamo rimasti in sei, ora il buio attorno è totale, la vegetazione chiude il campo visivo già di per se ristretto (ah, son miope, tanto per metter un po’ di pepe al tutto…) e attraversiamo dei veri e propri acquitrini che ci fanno affondare ruote e scarpe per centimetri nel fango. Qui per la prima (e unica) volta, ho proprio paura di piantarmi e di perder il controllo della bici o non riuscir a tirar più su il piede che di tanto in tanto metto giù per stare in equilibrio. Fortunatamente non sono tratti lunghi e l’esser comunque in un piccolo plotoncino mi dà quel coraggio che serve per concentrarmi ancora di più nel non far cavolate e nel pedalare al meglio.

Stiamo ora costeggiando il canale Cimena. Qui, all’opposto di poco fa, il terreno è perfetto e si scorre via quasi a gas pieno, tanto che la frenata per uscire dalla ciclabile ed attraversare il paese è bella decisa e giocosamente rumorosa, come quando acceleravi per poi far la sgommata sul brecciolino con la Saltafoss!

Approfittiamo tutti della ciclabile asfaltata di San Mauro per tirare un po’ il fiato e preparare testa e gambe all’ultima parte di gara, quella dell’ingresso di nuovo in Torino. Passato il ponticello di legno è come se si fosse acceso dentro ciascuno un interruttore di sovra potenza, il chiaro della ghiaia di questo tratto aiuta nella navigazione e la gamba gira che è un piacere, in un attimo stiamo di nuovo costeggiando il Po nella suggestiva confluenza con lo Stura di Lanzo, quasi a formare una piccola laguna. Il parco del Meisino scorre via facile e finalmente arriva l’illuminazione pubblica a dare un conforto. Il bello è che a quest’ora della notte (ed è davvero tardi…) questi sterrati sono deserti e ci si può concentrare solo sulla scelta della linea migliore da tenere e sullo sforzo della pedalata. Matteo è rimasto leggermente indietro, mi ritrovo con Simo (il messenger) ed un ragazzo con una mtb piuttosto moderna.

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Quest’ultimo nonostante sia tecnicamente favorito con gomme large ed un ampio range di rapporti, deve cedere il passo ad un Simo letteralmente indiavolato che pedala, come sempre, la stessa bici che usa quotidianamente per lavorare: scattofisso, un freno, gomme buone ma non  certo oversize ed un generoso quanto (oggi)  inutile portapacchi frontale a fendere l’aria come i tipici “paravacche” dei fuoristrada veri. Riesco a tener la sua scia ma son davvero al limite anche della cadenza. Sono infatti costantemente sopra le 100rpm ed anche il cardio (lo scoprirò ben dopo ovviamente) dice che siamo in piena soglia anaerobica, ma il tutto è compensato dai galloni di adrenalina che stanno diffondendosi in tutte le fibre quindi non ci bado e passo oltre!

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L’ultimo tratto è di nuovo tecnico, in pratica quasi un single track che nonostante io conosca molto bene, offre di notte un profilo ben più inquietante del solito anche perchè, man mano che mi spingo avanti, la vegetazione si stringe sempre più attorno a me e, benchè non ne soffra, la sensazione di claustrofobia inizia ad insinuarsi dentro.

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Per fortuna il tratto finisce un istante prima che il mio istinto mi faccia toccare i freni e mi viene in mente la frase dantesca: “e quindi uscimmo a riveder le stelle”, in questo caso sono i lampioni a led della ciclabile lungo corso Casale ma tanto basta per rasserenarmi l’animo e viaggiare dritto e felice verso l’arrivo, consapevole di aver fatto un ottimo lavoro in questa corsa che ha dato un taglio diverso ad un percorso di per se conosciuto ma che avvolto dalla notte mi ha saputo regalare emozioni uniche e del tutto nuove! Da provare, garantisco, ci si rivede tra un anno!

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Vi racconto delle mie bici – puntata 6bis di 7: far la #BMX al figliolo, con buon anticipo!

Prima della bici da corsa, prima della prima mtb c’era lei nei miei sogni: la BMX! eravamo in pieni anni ‘80 ed era il fenomeno nuovo che arrivava dritto dal miraggio USA, la volevo, arrivò e ci passai anni lì sopra…

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Poi persi traccia di quella bmx blu, ma il tarlo di averne una era sempre lì e complice i figli che crescono ed amici super, mi arriva un giorno un messaggio da messer PELT che mi dice, in dialetto fiorentino scritto: “o i se tu voi l’ho qui una biemmeiccse da sistemare ma l’è bona vera anche se non recentissima”.

Detto fatto, il pacco dopo un breve e sicuro viaggio era in ufficio da me. Oltre alla gioia di avere una bici nuova e totalmente diversa da quelle in garagge (n.d.t.: la doppia g è voluta), c’era l’ancor più intrigante sfida dello smontare, pulire ingrassare, sostituire e rimontare, di modo da avere un pezzo sì del 2005 ma del tutto attualizzato agli standard odierni ed anche se non con la progressione delle mtb, constato subito che i passi in avanti dalla gloriosa epoca “Atala gold” ad oggi sono stati molti ed importanti!

La bmx in questione è una WeThePeolpe primate, modello Dave Osato, grande rider dei primi anni 2000, questa la foto ed i dati da catalogo:

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Innanzitutto il telaio è davvero compatto e granitico, tubi giapponesi Sanko al cromo-molibdeno di sezione davvero importante, ovviamente acciaio. La situazione della bici così “out of the box” era questa:

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Inizio subito ad incuriosirmi nell’osservare la guarnitura: siamo distanti anni luce dalla ricerca del rigido/leggero/scorrevole che caratterizza le bici da strada, qui tutto deve essere a prova di bomba!

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A differenza di strada e mtb qui il perno (poderoso acciaio da 19mm) è del tutto indipendente ed a 48 scanalature dove incastrano le pedivelle, due travi in acciaio praticamente, con l’attacco per la corona indifferente sia a destra che a sinistra (i bene informati mi dicono che sia funzionale per alcuni trick avere la trasmissione a sinistra…). Il tutto su di un movimento centrale che gira su due coppie di cuscinetti industriali da 19mm… anzi pensavo fossero 19mm ma in realtà qui siamo in campo imperiale e quindi si parla di tre quarti di pollice! Ne consegue che mi risulta praticamente impossibile trovare i cuscinetti industriali equivalenti e mi affido al super negozio, il riferimento nel nord Italia, di Front Ocean dove trovo ragazzi molto disponibili e super competenti in ambito BMX!

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Inizio poi una ricerca di pezzi e pezzettini per attualizzare e sistemare al meglio la bici, scoprendo che uno dei miei canali preferiti, ovvero ebay.it, è praticamente sguarnito del tutto di ricambi da bmx seria, mentre il classico CRC ha un catalogo vastissimo ed a prezzi eccellenti! Così arrivano ruote, corona, manubrio, sella e reggisella nuovi che portano la bici da residuato 2005 a ottimo pezzo del 2016.

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Scopro infine anche un bel punto di contatto. La serie sterzo è esattamente identica a quella montata sul mio Vigorelli, classico standard Campagnolo per le serie integrate! Ne avevo giusto una presa per scorta che calza alla perfezione.

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La bici così come è montata ora mi piace tantissimo nonostante sia un po’ una arlecchinata di colori, ma è molto pratica e divertente da usare anche per un newbie totale come me e dà l’impressione di essere una bicicletta a prova di bomba: la buttassi giù da un balcone al limite ci sarebbe solo qualche graffio in più, granitica!

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Il mio piccolo matto già la guarda con enorme interesse e sa che sarà la bici con la quale si farà le ossa (sperando di non rompersele…). Io non vedo l’ora di vederlo felice lì sopra ma nel frattempo, ovviamente, la WTP Osato la curo io!!

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perchè un #blog non bastava, nuova avventura per @endusport – mySDAM #ciclismi

Già, come si dice l’appetito vien mangiando e dalle chiacchierate fatte con nuovi amici in quello splendido weekend sulle strade bianche è nata l’opportunità di scrivere anche per il nuovo portale ENDU, ovvero la declinazione in parole di tutto quanto la macchina organizzativa di SDAM ha fatto per lo sport amatoriale in questi anni.

Per me un onore essere tra i primi contributor al progetto ma anche tanto entusiasmo di raccontare un po’ del mondo del ciclismo amatoriale, fatto non solo di granfondo ma soprattutto di esperienze ed amicizie, questo di seguito il mio primo articolo ma ne seguiranno molti a cadenza costante, a presto!

IL CICLISMO CAMBIA SPESSO, PER NON CAMBIARE MAI

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Vi racconto delle mie bici – puntata 2 di 7: la Colnago super del ‘78, solo per passione…

Questa è, numeri alla mano, la bici che pedalo meno nel corso dell’anno, e nasce prima di tutto dal mio amore per la storia e la tradizione ciclistica italiana e per tutto quanto prodotto da Campagnolo, infatti è una bici nata alla rovescia…

Sì perchè solitamente le persone dotate di senno prima acquistano, o per lo meno identificano,  il telaio. Poi man mano arrivano i componenti da abbinarci. Invece no, qui la scintilla iniziale fu scoccata da un annuncio su di un mercatino online che recitava semplicemente: “gruppo super record completo” e da lì a non resistere, visto anche l’ottimo prezzo, il passo fu brevissimo!

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!ByHoCrw!mk~$(KGrHqYOKkIEwQNZwOpIBMQcJ8di0w~~_3Appena arrivato a casa il sospirato pacco, mi soffermai diversi giorni a rimirare la bellezza meccanica di quegli oggetti, una vera sintesi di ingegneria meccanica. Ogni componente è la perfetta unione dei concetti base di forma e funzione, senza fronzoli, concepiti ancora da Tullio in persona, che non credo badasse alle sciccherie quanto più al supportare con prodotti eccellenti i corridori di mezzo mondo e a quell’epoca obiettivamente Campagnolo non aveva rivali.

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Iniziai quindi a ricercare un telaio di pari epoca e soprattutto che fosse in buone condizioni e della mia misura. Tutto subito pensa ad un Olmo, nobile telaista e corridore in quel di Celle Ligure. Il tutto era anche un bel dejavù visto che da piccolo andavo al mare proprio in quella cittadina della riviera e mio nonno, lungimirante, spesso mi portava a vedere le vetrine del loro negozio (oggi dovremmo chiamarlo flagship store, ma ci siamo capiti..).

_MG_0480Poi d’improvviso una folgorazione: su quel mercatino del tanto chiacchierato fixedforum e preciso che non sono solito passare il rassegna quella sezione, ne preferisco l’aspetto di comunità e di incontri agli eventi. Ma fattostà che sembrava aspettarmi, taglia perfetta, condizioni perfette, un Colnago super di razza e su tutte quel colore strepitoso, riassumibile nel classico “carta da zucchero” ma con una tonalità ancor più particolare che in un attimo mi fece dire: “sì, sei tu!”. Qualche malpensante utente del forum stesso potrebbe anche dire che forse ho salvato quel telaio dall’esser sabbiato, riverniciato fluo, amputato dei passacavi e riassemblato come bici a scatto fisso modaiola, giusto per andare agli aperitivi. Beh, non lo sapremo mai, ma pochi giorni dopo il telaio era insieme al gruppo, mancavano solo qualche dettaglio e poi il quadro sarebbe stato completo e pronto per il montaggio finale.

Per alcuni dettagli mi venne in aiuto il buon Pietro detto “pogliaghi” e non a torto vista la usa infinita conoscenza nel campo del ciclismo d’epoca unita ad un garage che per me è stato come quando ho visto Gardaland la prima volta… quindi dissigillammo insieme un paio di cerchi Nisi bruniti a 36 fori, perfetti per i mozzi record, in più trovo pipa e piega manubrio pantografati Colnago, in modo da rendere tutto davvero perfetto.

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Una menzione la merita la sella, è una Brooks B77 ma non è frutto di commercio, mi fu regalata da mio zio Paolo, il primo ad instillarmi la passione del ciclismo e quella stessa sella fu da lui usata per anni e migliaia di chilometri, quindi non solo è una sella bella, comodissima e perfettamente rodata, ma è anche un ricordo ed un omaggio a chi per primo mi ha fatto conoscere la bellezza della bicicletta.

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Assemblato il tutto, la prima impressione è stata da subito splendida: è insospettabilmente leggera per essere in acciaio, molto stabile nella guida, specialmente in discesa e soprattutto, anche in raffronto alle bici moderne, è silenziosissima: senti solo un lieve fruscìo e lei scorre che è una meraviglia nonostante sia una bici di quasi quarant’anni! La prova del nove è stata usarla sia nel tragitto quotidiano per andare al lavoro dove si dimostra molto fruibile, sia (soprattutto) nel suo ambiente naturale ovvero in quella Eroica che per tre volte mi ha dato emozioni incredibili e sempre diverse di anno in anno.

_MG_0479Una piccola menzione anche ai tanto sottovalutati tubolari. In primis una delle classiche fonti di foratura, la cosiddetta “pizzicata” è scongiurata alla fonte, poi nonostante abbia montato (anzi, imparato a montare) dei semplici Vittoria rally si sono dimostrati assolutamente eccellenti, sia in scorrevolezza e tenuta, sia, soprattutto, in una eccellente resistenza alle forature, quindi mi permetto comunque di consigliarne l’uso anche per una bici da tutti i giorni.

Vi lascio con le splendide foto che il mio amico,anche lui grande appassionato di ciclismo, Angelo Ferrillo ha fatto di questa Colnago super.

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